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IL SOGGETTO ASSENTE
(Ovvero, uomini che amano troppo)
Cosa c’è di sbagliato nella maggior parte delle campagne contro la violenza sulle donne?
Perchè la rappresentazione di donne ferite, vulnerabili, il mostrare lividi e lacrime, manca completamente il bersaglio di chi vorrebbe sensibilizzare su questo tema?
Qual è il grande assente di queste denunce?
(in ordine di apparizione)
Rosita Denti
Marika Ambrosino
Nueba Antonucci
Aleksandr Dal Cero
Gianmaria Villani
Massimo Sconci
Luciano Piovani
Sofia Pauly
Natascia Verza
Caterina Cottafavi
Roberta Braga
Massimiliano Mastroeni
Massimiliano De Palma
Makeup - Marika Ambrosino
Assistente set - Nueba Antonucci
Stylist - Lucrezia Grasso
Scritto, diretto e prodotto da Riccardo Pittaluga
Elsa Dorlin - “Difendersi. Una filosofia della violenza”
Jennai Bundock - “The Hidden Cost of Patriarchy”
Lorenzo Gasparrini - “No. Del rifiuto e del suo essere un problema essenzialmente maschile.”
Lorenzo Gasparrini - “Perché il femminismo serve anche agli uomini”
Lorenzo Gasparrini - “Non sono sessista ma...”
Carlotta Vagnoli - “Maledetta sfortuna”
@LilahSturges
Osserviamo un limite (o meglio: una mancanza) nella maggior parte dei progetti di sensibilizzazione sul tema della violenza contro le donne. La donna-vittima è il solo elemento rappresentato mentre manca il vero soggetto, l’agente dell’atto: l’uomo. Manca sia nella rappresentazione - quasi mai compare sui poster o negli spot commerciali, se non come ombra o elemento di sfondo - sia come elemento di riflessione, quasi come fosse secondario.
In questo modo la violenza sembra un elemento astratto, un qualcosa che “capita”, connaturato all’essere donna. Diviene un problema della donna: deve porre l’attenzione a come si veste, a quali luoghi frequenta e in quali orari, deve stare attenta a non attirare troppo l’attenzione.
Si agisce dunque sulla liberta della donna, caricandola della responsabilità non solo della propria incolumità, ma anche delle azioni altrui.
Ma dov’è l’uomo in tutto questo? perchè non si parla di quella mascolinità che contempla la violenza, che la giustifica, che la esalta e che la vede come strumento necessario? Perchè non chiamiamo in causa una cultura e una società che rende la donna un bene da desiderare, possedere e distruggere? Perchè vediamo raramente riflessioni sull’incapacità dell’uomo di accettare un rifiuto, di lasciare la donna libera di agire?
In oltre questa rappresentazione della violenza, della sofferenza, di lividi e ferite, di lacrime e corpi vulnerabili, corpi quasi sempre di modelle giovani, belle, bianche, rischia di portare ad una pornografia del dolore provocando sia pietismo sia vera e propria eccitazione in chi può godere degli effetti del proprio potere e forza. La violenza così mostrata erotizza il dolore.
“If you feel like it’s ok to depict rape for the sake of “realism” then you should ask yourself why you don’t also want to depict diarrhea, which is also real. If your answer is “nobody wants to watch someone have diarrhea” take a moment to think about what you just said.“
Lilah Sturges
“Ciò che salta agli occhi quando vediamo quelle fotografie sono, al di là dei corpi fatti oggetto di violenza, gli effetti, le conseguenze degli atti violenti su quei corpi. Ciò che infesta quelle foto, sono le tracce, i segni di una potenza di agire capace di imprimere il suo marchio sul corpo altrui: è questa capacità di violenza estrema. Le campagne pubbliche sono un tributo offerto agli aggressori. Ciò che affascina dunque (ciò che spaventa, ciò che eccita o che procura piacere) è vedere che cosa significa essere potente; che cosa significa essere capace di picchiare, di colpire, di ferire, laddove altre/i sono capaci soltanto di piangere, di urlare o di morire. La pulsione scopica rinvia così a una dimensione narcisistica. Pertanto non siamo messe/i di fronte alla sofferenza di un oggetto, ma alla potenza di un soggetto. Queste campagne sono tragiche perché in fondo trattano soltanto di una superpotenza attribuita agli «uomini»; una potenza che viene presentata come caratteristica di corpi maschili raramente mostrati, raramente messi in scena, tranne che nella messa in scena dell’efficacia, della brutalità e della liceità dei loro colpi. L’erotizzazione della sofferenza dei corpi dipende da un godimento di sé, da un’estetizzazione inebriante degli atti degli autori di violenze. In altri termini, ciò che queste campagne mostrano e ciò a cui si rivolgono è la violenza eccitata degli agenti di violenze.”
Elsa Dorlin - “Difendersi. Una filosofia della violenza”
“Jennai Bundock, a sua volta vittima di violenze e attivista, dice che ogni movimento che metta al centro solo le vittime incontrerà dei problemi.
“Parliamo di abusi e violenze contro le donne. Ma così sembra che sia una cosa che succede alle donne, che succede e basta. È una nebulosa, un tutt’uno con il fatto di essere donna. Così facendo non parliamo degli uomini violenti, non parliamo del silenzio. Non parliamo dei motivi del silenzio.” È sbagliato cominciare ogni frase con le parole “Se tutte le donne che sono state molestate o violentate...” come ha fatto Alyssa Milano e come facciamo tutte noi. Quando lo facciamo, mettiamo sulle vittime il peso di provare che lo stupro a) esiste e b) è un problema sistemico. Diamo per scontato che chi parla da quel momento sarà al sicuro. Le molestie sessuali sono considerate “un problema delle donne” e quindi una nostra responsabilità. È un po’ l’analogo di chiedere alla donne di non mettersi la minigonna per evitare di essere stuprate. Dobbiamo mostrarci in pezzi al grande pubblico nella speranza che qualcuno ci assicuri la sua pietà sotto forma di “ti credo” e, che in qualche modo, questo porti qualche beneficio.”
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